Aborto "facile": almeno non facciamo finta

Almeno non facciamo finta. Almeno non raccontiamoci una gigantesca bugia. Almeno assumiamoci la responsabilità di aver lasciato una donna sola di fronte al suo dramma, di aver raccontato a quella donna che si tratta di una nuova libertà. Davvero vogliamo credere che poter uccidere un essere umano sia sinonimo di libertà? Davvero possiamo anche solo pensare che il cosiddetto “aborto facile” rappresenti un passo in avanti?
Assolutamente no.

Eppure il ministero della Salute ha di recente pubblicato le nuove linee guida sull'aborto farmacologico, che annullano l'obbligo di ricovero dall'assunzione della pillola abortiva RU-486 fino alla fine del percorso assistenziale e allungano il periodo in cui si può ricorrere al farmaco fino alla nona settimana di gravidanza. E intanto si spinge per rendere la procedura del tutto ambulatoriale.
Accade nel Lazio, dove dalla prossima estate sarà possibile per le donne accedere all'aborto farmacologico, con la pillola RU-486, anche nei consultori familiari. Sarà una sperimentazione, durerà 18 mesi, ed è la prima volta che accade in Italia.
Tutto diventa semplice, veloce, sembra quasi innocuo. Eppure nessuna procedura potrà mai cancellare il dramma che si sta consumando in quel momento. Il dramma di una donna a cui, nascondendosi dietro un accesso più facile alla pillola abortiva, viene negato un aiuto concreto ad accettare e accogliere quella gravidanza, quell’embrione che secondo la scienza è una vita unica e irripetibile sin dal primo momento. Ed è un dono, se lo si guarda con gli occhi della fede.

Ma come agisce questa pillola nel corpo di una donna?
Dal momento del concepimento esiste un dialogo ormonale e biochimico tra mamma e bambino che permette al corpo materno di non scatenare il proprio sistema immunitario contro un essere che ha un codice genetico diverso. Ed è sempre grazie a quel dialogo che l’embrione viene guidato nell’utero materno ad annidarsi nel sito più adatto ed accogliente, e così continuerà per l’intera durata della gravidanza, in modo silenzioso ma costante.
Tutto questo succede per la presenza di un ormone denominato beta-HCG, prodotto dalle strutture embrionali, che stimola la produzione da parte dell’ovaio materno di quantità elevate di progesterone, ormone che crea un ambiente favorevole allo sviluppo del bambino rendendo biologicamente accogliente l’utero.
Diventa facile, dunque, comprendere come boicottare il progesterone nelle settimane iniziali vuol dire compromettere inevitabilmente la gravidanza: la pillola abortiva RU-486 contiene il mifepristone, una sostanza che agisce sul progesterone bloccandone l'azione. Il mifepristone simula il progesterone, ma è molto più veloce e affine ai recettori materni, li inganna e manda fuori uso il progesterone: con l’assunzione di tre compresse in unica dose il gioco è fatto, la gravidanza si spegne.
Serve però anche un’altra sostanza: la prostaglandina (il prodotto più usato è il misoprostol), che provoca l’espulsione del materiale abortivo e viene somministrata per via orale o vaginale due giorni dopo la RU-486. L’esito di questo “trattamento” – ossia la completa espulsione del sacco embrionale – viene verificato con un’ecografia entro il quattordicesimo giorno dall’assunzione.

Il 30 luglio 2009 l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) aveva approvato l’immissione in commercio nel nostro Paese di questa pillola RU-486 ed erano state redatte le relative linee guida dall’allora Ministero della Salute: la procedura poteva applicarsi dalla quarta alla settima settimana di gravidanza. Diversamente, a gravidanza avviata, si innescano meccanismi di funzionamento placentare che rendono più difficile causare un aborto solo con un intervento di questo tipo.
Inoltre era previsto il ricovero con stretta sorveglianza medica durante l’intera procedura: molte Regioni avevano comunque preferito il day hospital, in altre si era aggirato il vincolo con la firma per dimissione volontaria dopo aver assunto la pillola abortiva.

Con queste nuove linee guida tutto, invece, diventa più facile. Così come diventa più facile non vedere, girare lo sguardo. Pensare che l’aborto farmacologico sia la conquista di una nuova libertà per la donna è un inganno, è solo una modalità diversa: perché la vera conquista sarebbe dare ad ogni donna sufficienti motivazioni ed aiuti perché accolga il figlio che porta in grembo, la vera conquista sarebbero relazioni vere, belle, rispettose, amorevoli, la vera conquista sarebbe un impegno reale a favore delle donne nel mondo del lavoro.
Insomma, la vera libertà sarebbe quella di aiutare la donna ad accogliere questo figlio che già la ascolta e non costringerla a commettere un atto così difficile e “segnante” nella solitudine del suo dolore.

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