Ddl Zan: la verità è che nessuno dice la verità

La verità è che nessuno dice la verità. Né chi il disegno di legge l’ha scritto e proposto, né tantomeno la schiera di personaggi pubblici che posta foto della propria mano con su scritto “Ddl Zan”. Che questi ultimi non sappiano di cosa stiano (veramente) parlando è triste, ma comprensibile: seguire la moda del momento fa gola a tutti. Molto più grave che i primi mentano sapendo di mentire.

La bugia più grande è quella con cui ci vogliono far credere che questo disegno di legge dia più diritti, più tutele, pene più certe. E quindi chi può dirsi contrario al riconoscimento di un diritto in più? Finto. Il ddl Zan non aggiunge nulla alle pene (e alle aggravanti) che il nostro sistema giuridico già prevede: l’aggressione a un uomo o a una donna dovuta al loro orientamento sessuale è giustamente punita in quanto violenza e con l’aggravante dei motivi legati all’orientamento sessuale (così come accade per i motivi legati all’etnia, alla religione, etc). Quello che Zan dice non essere vero, è scritto nel codice penale.

Allora perché tanto clamore? Perché i “più diritti” per i più deboli sono solo lo specchietto per le allodole. Perché l’esponente del Partito Democratico che ha avanzato questa proposta di legge sa bene che se il ddl venisse raccontato nella sua interezza le perplessità che oggi pochi provano a esprimere diventerebbero il sentimento comune.

E non perché lo dice la Chiesa – anche se ogni occasione è buona per dare ai cattolici dei retrogradi e bigotti –, ma perché dietro il (finto) riconoscimento di più diritti c’è la volontà di imporre una ideologia che punisce chi, per fare solo un esempio, sostiene che ogni bambino abbia diritto a una madre e a un padre. E non a un genitore 1 e un genitore 2. Insomma, ci dicono che danno diritti a chi non ne ha (e non è vero), ma non ci dicono che quello della libertà di espressione del pensiero, sancito dalla Costituzione all’articolo 21, “Non è un valore assoluto”. Cosi aveva detto lo stesso Zan solo lo scorso agosto a Radio Capital. E non è difficile credere che l’abbia detto davvero.
E non ci dicono tante altre cose. Per esempio quella – davvero pericolosa –, portata all’attenzione da alcuni magistrati e giudici, per cui l’ingresso della teoria gender nelle scuole (Il termine inglese ‘gender’ indica l’appartenenza di un individuo ad un sesso o ad un altro non in base a differenze biologiche, ma in base a differenze di natura sociale, culturale, comportamentale) «finirebbe per non avere più ostacoli, potendo essere impartita anche senza l’autorizzazione dei genitori», ora indispensabile.

Esatto: a oggi serve una firma anche per permettere un’uscita al parco giochi del proprio paesino, mentre invece – attraverso l’istituzione di una “Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia”, che dovrà essere celebrata nelle scuole di ogni ordine e grado prevista dal ddl – i genitori nulla potrebbero di fronte all’imposizione di un’ideologia. Quella per cui, recentemente, una famosa modella in attesa di un bambino alla domanda “è maschio o femmina” ha risposto “lo deciderà lui, a 18 anni”. Bugia anche questa.

Quanti genitori sono al corrente di questo? Quanti genitori sono d’accordo con questo? Non è (solo) una questione di fede, certo i cattolici hanno radici profonde nella tutela di certi valori che ritengono indisponibili. Ma è una questione di buon senso, di chi non segue la moda, ma legge il testo, nel suo complesso. Di chi non si ferma a una story su Instagram o alle solite frasi fatte, ma di chi ha davvero a cuore il bene del prossimo. Chiunque esso sia. Qualunque sia il suo orientamento sessuale, religioso, qualunque sia la sua etnia
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Questo vale quindi davvero per tutti?

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