Condividiamo una lettera inviata al quotidiano "Avvenire" e la relativa analisi affidata a Marina Corradi.
Caro Avvenire,
dopo la notizia della nascita di una bambina e un bambino, figli di Cristiano Ronaldo, nati attraverso la pratica della fecondazione assistita e dell’utero in affitto, mi sento di scrivere questa lettera attraverso il nostro giornale ai due piccoli.
«Benvenuti; vediamo in voi la bellezza della vita umana appena nata e la benedizione di Dio fin dal vostro concepimento. Non possiamo non vedere questo. Siete figli di Dio per diventarlo in pienezza, avete i tratti filiali del Figlio di Dio Gesù, sarete sempre più resi conformi a Lui. Nessuno potrà dirvi che siete (solo) figli della provetta, figli dell’utero in affitto, figli della volontà di potenza dell’uomo. Siete figli di Dio per diventarlo in pienezza, questa è la vostra vocazione e missione, per voi come per gli altri. Voi, siete figli biologicamente di Cristiano e siete figli di una donna che sicuramente desidererete un giorno conoscere, e avreste desiderato già conoscere fin d’ora. Perché nel vostro corpo c’è anche il suo Dna, nella vostra vita c’è la vita sua che si trasmette e si dona, nel vostro volto ci sono alcuni tratti del suo volto, nel vostro essere figli c’è il suo essere madre. C’è e ci sarà sempre, si vedrà sempre. Solo i ciechi, quelli che si vogliono accecare da sé con il loro egoismo, non vedono e dicono che non si vede, e imporranno a tutti di dirvi che non si vede. Con la grazia di Dio che opera invisibilmente nel cuore di tutti gli uomini di buona volontà, lo Spirito Santo darà la possibilità a tutti di vedere di nuovo la realtà. Quel giorno, vedremo, vedranno, cari bambini, che vi è stata imposta una ferita nella vostra vita di figli: la separazione da vostra madre, nonostante siate stati accuditi e cresciuti con amore da nonna e zie. . . e papà. Ma noi vediamo, voi vedrete, e un giorno vorrete dire a tutti, e particolarmente a papà: “Guardate, guardate, in noi si vede nostra madre! Dov’è? Dov’è stata in questi anni? Perché non ce l’avete donata?”. Forse anche vostro padre, un giorno, riuscirà a vedere».
Ermanno Barucco Verona
Due bambini figli di un campione del calcio, certamente molto desiderati, destinati a una vita da ricchi e da privilegiati. Due bambini che però sono nati da una madre “presa in affitto” per quella gravidanza, una madre surrogata.
Una che ha aspettato per nove mesi due gemelli, li ha messi al mondo e poi, pochi giorni dopo, se ne è separata, in osservanza del contratto cui aveva aderito. Cresceranno, questi piccoli, tra le braccia di altre donne, zie, nonne, come dice il lettore. Dapprima forse non si renderanno conto di niente, beati dentro un’infanzia vezzeggiata. Magari chiameranno “mamma” la compagna del padre, a lungo non sospettando di niente.
Prima dell’adolescenza però cominceranno a osservarsi allo specchio, a vedere, può darsi, dei tratti che non sono quelli del padre, né della sua compagna. Quegli occhi più grandi, o il naso, o la bocca più sottile. «A chi somiglio io?», si chiederanno. Forse non si dirà loro mai niente. O forse si sceglierà di raccontare la verità. Quasi sperando che l’affermarla alla luce del sole fughi ogni ombra.
Ora pensate, sentirvi dire che la madre che vi ha portato in grembo appena dopo il parto vi ha dati via. E non per malattia o per un dramma della vita, ma perché, semplicemente, così stabiliva il contratto. Per questo si è separata da voi. Per quanto lieta e dorata possa essere la vostra vita, non vi sentireste trafitti nel petto come da una lama aguzza, arpionati al cuore da quella inattesa sbalorditiva notizia: vostra madre vi ha abbandonati? Chi è esperto di adozioni sa quanto faticosamente la ferita dell’abbandono si rimargini, anche quando la famiglia adottante trabocca di amore.
L’essere stati abbandonati dalla madre comunque è un vulnus, anche quando avviene per ragioni disperate. Cosa può pensare un figlio che un giorno sappia invece che è stato allontanato senza una ragione drammatica, ma nella logica di un contratto? Che per dei soldi gli è stato tolto quel qualcosa cui non ha mai saputo dare un nome, ma di cui ha forse avvertito una segreta nostalgia. Il ritmo di “quel” cuore, l’odore di quella pelle, e quella voce, che già prima di vedere la luce gli era dolce e familiare. Un’ombra, soltanto? Ombra possente però, ombra radicale, scritta nel profondo del sangue. Quei due bambini, figli di Dio come tutti noi, a Dio infinitamente cari, portano sulla pelle come il segno di un taglio. E non dovuto a morte, solitudine, miseria, ma alla scelta del loro padre.
Che li voleva, a prescindere da una madre. Quasi che i figli si possano davvero comprare. Quasi che non resti loro addosso, tacita, la confusa mancanza di quella voce, già cara e fondante mentre, in un tiepido materno buio, dolcemente oscillavano nel grembo.