La notizia è uscita sui media nel mese di dicembre 2016: 26 coppie che sono transitate per il Centro medico dell'Università di Utrecht, in Olanda, tra aprile 2015 e novembre 2016 per sottoporsi alla ICSI (una delle tecniche più invasive di riproduzione artificiale) potrebbero avere ottenuto la gravidanza con il seme di un uomo sbagliato, a causa forse di una guarnizione in gomma sprovvista di filtro riutilizzata 26 volte e dunque con una promiscuità di spermatozoi.
Una eventualità che, secondo il Centro olandese, “è piccola, ma non può essere esclusa”. Nove sono i bambini già nati e 4 sono le gravidanze in atto. Gli altri 13 embrioni sono stati congelati. In attesa di riscontri ufficiali cui è sempre bene affidarsi, la notizia ripropone in modo drammatico una riflessione sulle tecniche di riproduzione artificiale.
A distanza di quasi 40 anni dalla nascita della prima bambina concepita “in provetta” (1978), gli interrogativi e i dubbi dei bioeticisti e di tante coppie con il problema della sterilità non sono affatto diminuiti. Al contrario, il progredire delle possibilità tecniche, lungi dal migliorare sensibilmente l’efficacia delle metodiche, ha ampliato la gamma dei possibili problemi e di eventuali errori come quelli forse verificatisi in Olanda.
La ricerca del figlio a tutti i costi, soprattutto quando si cerca di superare i fisiologici limiti della natura, continua a generare in alcuni casi coppie felici, ma nella stragrande maggioranza situazioni problematiche o delusioni profonde.Ci basta riflettere, tra i tanti disponibili, su un dato ufficiale fornito dal Ministero della Salute. In Italia, in tutto il 2013, nelle cliniche accreditate per la riproduzione artificiale sono stati “prodotti” in vitro 118049 embrioni, ma di questi soltanto 9657 si sono sviluppati fino al termine della gravidanza e sono nati. Una percentuale inferiore al 10%, così come meno del 10% sono le coppie che hanno completato il loro percorso riproduttivo con la nascita di un figlio. 9 coppie su 10 hanno invece investito tempo, energie, emozioni, speranze e spesso anche molto denaro senza ottenere risultati, a volte anche spinti a proseguire nei loro tentativi nonostante una situazione clinica non favorevole.
Sulle tematiche della fertilità penso sia ormai indispensabile anche nel nostro Paese una riflessione profonda: non solo negli aspetti di politica sanitaria come ha sottolineato il Ministero della Salute nel recente “Family Day”, ma forse e soprattutto per la coscienza personale di ognuno di noi: uomini, donne, operatori sanitari e chiunque possa essere a vario titolo coinvolto nell’accoglienza della vita umana, soprattutto di quella più debole ed indifesa.
Da custodi e difensori della vita così come da sempre sono stati pensati e creati, alcuni uomini e donne hanno voluto diventare padroni della riproduzione, spesso senza conoscere a fondo le leggi che la regolano, anzi il più delle volte stravolgendole oltre ogni buon senso. Il prezzo che continuiamo a pagare continua ad essere elevatissimo e, come spesso succede, continua a essere sulle spalle dei più piccoli tra gli esseri umani: come gli oltre centomila che non sono potuti nascere nel 2013 in Italia e quei 26 di Utrecht dall’incerta paternità biologica.
Forse anche nel giusto desiderio del figlio è giunto per tutti il momento di tornare a riconoscere le leggi e i limiti della natura. Non per stravolgerli a nostro piacimento, ma per saper cogliere con naturalezza i momenti variabili della fertilità. Aiutati magari anche da una scienza che non sia mai piegata ai desideri di qualcuno, ma che si ponga sempre a servizio di tutti gli esseri umani, soprattutto di quelli più deboli e indifesi.