UNPLANNED: il racconto di una verità che turba, fa riflettere, ma dà anche speranza

Grazie all'Oratorio don Bosco, a Federica Picchi, Simona Bellino e alla Comunità Cenacolo, martedì 22 marzo è arrivata anche a Saluzzo la proiezione di "Unplanned", pellicola che attraverso una storia vera tratta il tema dell'aborto. Abbiamo partecipato e ci fa piacere condividere le riflessioni di due nostre volontarie presenti in sala.
UNPLANNED è uno dei film più boicottati di sempre, girato con un piccolo budget, che racconta la storia vera di Abby, da matricola universitaria idealista che pensa di aiutare veramente le donne, fino a diventare direttrice di una clinica per aborti.
Al di là delle chiare differenze tra la società americana e quella italiana, la sostanza non cambia: l’aborto è l’uccisione di un bambino.
Il film mostra cosa succede in una sala operatoria, ci mostra chiaramente che nel grembo materno c’è un bambino che lotta per non essere risucchiato dalla sonda.
Questa è una storia vera ed alcune scene ci turbano perché ti sbattono in faccia una realtà che molte persone vogliono tenere nascosta.
Interessanti anche le figure del marito e dei genitori di Abby, che pur non condividendo le sue idee, rispettano le sue scelte.
Mi sembra onesta anche la rappresentazione di Planned Parenthood, dei suoi obiettivi e finanziatori, sia del mondo pro life con i suoi membri compassionevoli, gentili, accoglienti e alcuni altri rigidi e stupidi.
Mi ha colpito l’affermazione della stessa Planned Parentohood che la preghiera davanti alla clinica riduce significativamente il numero degli aborti. É per questo che i gruppi di preghiera davanti ai nostri ospedali danno così fastidio?
Può succedere nella vita di ognuno di noi che qualcosa improvvisamente irrompa e sconvolga i piani e rappresenti un punto di non ritorno. In “UNPLANNED” (traducibile in “Non previsto”), film statunitense che traspone sul grande schermo una vicenda autentica, quella narrata nel 2010 dalla diretta protagonista Abby Johnson si intrecciano questi momenti: per tante donne, a volte minorenni, una gravidanza non desiderata, inopportuna, sconvolgente e la tragica scelta di interromperla; per Abby, direttrice di una clinica per aborti in Texas, la visione casuale delle immagini ecografiche in sequenza di un embrione di tredici settimane di vita qualche attimo prima che venga azionato l’aspiratore. La visione inaspettata in diretta della reazione del bambino, che tenta di sfuggire alla sonda ritraendosi con un’istintiva ascesa verso la parte superiore del sacco amniotico, e poi quella immagine nera dell’utero vuoto sconvolgono Abby che pure in quella clinica lavorava da anni. Aveva iniziato prima come giovane volontaria, poi come consulente psicologa, aveva fatto carriera nell’organizzazione, convinta di lavorare per il bene delle donne forse perché anche lei aveva due aborti alle spalle, tenuti nascosti a tutti, vissuti in giovane età dentro una storia sentimentale sbagliata. Poi la vita era girata per il verso giusto: un marito, che non condivide le sue scelte ma le rispetta così come i suoi genitori, una figlia, l’amicizia tra colleghe in clinica. Il film ci racconta una Abby determinata ma non insensibile al pensiero diverso dal suo e attenta a tutto ciò che succede attorno a lei: con i pro-life, che davanti alla clinica cercano di convincere le donne a non entrare, tenta di dialogare; in clinica si lascia interpellare, da un momento di panico per un evento avverso dopo l’interruzione della gravidanza, dagli occhi spenti di una ragazzina; fino alla corsa al denaro per cui i prezzi aumentano in base alla circonferenza cranica dell’embrione. Poi quel sabato mattina, giorno di punta per la clinica in cui vengono eseguiti dai venticinque ai trentacinque aborti, per la prima volta vede ciò la cui portata ignorava. É il cambio di rotta, la sua vita cambia, all’insegna di una conversione umana e spirituale che la rende una delle principali sostenitrici e attiviste pro-life. Il film non lancia anatemi e le scene sono fedeli a quello che realmente succede, certo sono crude e inchiodano alla poltrona, ma è il prezzo da pagare se si vuole guardare in faccia la realtà. La storia di Abby, essendo vera, va presa così com’è: il film non divide in buoni e cattivi ma rimanda a una decisione personale su un tema così delicato, suggerendo che ogni “non previsto” può anche diventare occasione di crescita.